Sono quasi alla vigilia della mia partenza. Dopo sei mesi passati in casa guardo, ancora, fuori dalla finestra e vedo un cortile semi deserto, anche il rumore del tram fuori mi sembra più rado. È arrivata l’estate, l’unico vero spartiacque del tempo. Per convenzione tutti accettiamo che l’1 gennaio sia il primo giorno dell’anno anche se tutti sappiamo che l’anno finisce realmente in un giorno imprecisato di luglio/agosto.
Il sapore diverso di questa estate è in ognuno di noi, di chi come me ha vissuto mesi in casa inventandosi una nuova routine, di chi ha continuato a lavorare vagando per città deserte, di chi ha perso qualcuno che amava.
Le estati di un tempo. Da tanti giorni il caldo, il silenzio, il forzato stop alla vita frenetica stanno facendo riaffiorare in me dei ricordi che sono sempre stati lì, nei sorrisi, negli occhi, nei modi di dire.
Le estati di quando ero bambina sono divise in due: da un lato il momento in cui arrivavano i genitori. Andare al mare era una guerra: sveglia la mattina presto in malo modo con luci accese, stereo ad alto volume. Latte tracannato velocemente e puntualmente vomitato in macchina, lavarsi ma “solo la faccia tanto andiamo al mare” che se per caso ti scappava di fare “roba” era un problema serio visti i minuti contati.
Così ci preparavamo io, mia sorella e i miei cugini per fare una cosa per cui all’epoca non provavamo alcun interesse. Andare al mare presto per trovare parcheggio e piantare l’ombrellone sul bagnasciuga altrimenti fa troppo caldo (alle 9.00 del mattino?!) e tornare per pranzo. Rigorosamente!
E ricordo i pranzi. Tavolate di persone sempre più abbronzate, un vociare misto e incomprensibile, le urla di noi bambini sempre troppo poco stanchi per gli adulti, qualche piatto che mancava per colpa di qualche conto fatto male, qualcuno che sempre si arrabbiava per qualcosa. Le estati… quelle in cui per mancanza di soldi o forse di mentalità le vacanze fuori non si facevano e si stava tutti insieme rispettando e subendo gli uni gli orari e i ritmi degli altri.
Dall’altro lato le estati sole con i nonni, noi quattro e loro. Nel periodo pre-ferie genitoriali andavamo lì al paese per trascorrere i giorni più belli e accumulare i ricordi più teneri. Mi ricordo di noi che dormivano tutti insieme in un’unica stanza e di mia cugina che sempre di notte aveva voglia di parlare e anche, ancora, di scherzare mentre noi cercavamo di zittirla per poter dormire. Di mia zia tanto più giovane delle sue sorelle da essere considerata “una di noi” che complice vegliava e istruiva.
Le passeggiate che tutti i pomeriggi i miei nonni si inventavano per farci fare qualcosa, i gelati mangiati in ogni dove e le colazioni a base di panino con la spianata piccante. Le partite al bigliardino, le ginocchiere comprate per preservare le mie ginocchia quando ho imparato ad andare in bicicletta. E mi ricordo di mia nonna che la mattina ci lavava sfregandoci uno per uno talmente forte da farci desiderare di imparare presto a farlo da soli. Delle urla che a loro non davano mai fastidio, dei giochi e dei cartoni animati visti nelle prime ore pomeridiane per evitare di fare confusione. I pranzi a base di fritti, pasta fatta in casa e acqua del rubinetto che si sa nel paese l’acqua arriva direttamente dalle montagne e, se la fai scorrere un po’, è più fresca di quella del frigo!
Ho in mente come fosse ieri, tutto. Il vicinato di cui ora rimane solo qualche rappresentante, che tanto ci ha fatto penare durante gli anni dell’adolescenza ma che è sempre stato lì pronto a darci un bacio bavoso e a ripeterci anno dopo anno quanto fossimo cresciute. A darci l’acqua quando giocavamo nei vicoli vicini o aprirci casa per qualunque necessità, fosse anche un po’ di pane e pomodoro.
Quelle estati hanno per me ora il gusto dolce del ricordo e amaro di qualcosa che non tornerà più così, perfetta com’era. Quella è ancora per me l’espressione della felicità, sono stati gli anni in cui senza saperlo diventavo la persona che sono.
E ora che i miei nonni non ci sono più di loro mi rimane, ancora in estate, quella grande casa di cui conosco a memoria ogni angolo e in cui se annuso bene mi sembra ancora di sentirlo l’odore del tabacco di mio nonno e il profumo dei pomodori con la cipolla, rossa.