Arriviamo subito al dunque perché anche i giri di parole ormai hanno un po’ stufato. Sta storia di costruirsi nuovi obiettivi, una nuova routine, una nuova quotidianità, di fare yoga e cardio fitness per smaltire la pizza cucinata a tutte le ore, ha un po’ rotto le palle!
Sono mesi che leggo, e talvolta scrivo, articoli che osannano la tanto in auge resilienza, che spingono a guardare il lato positivo di queste restrizioni. Mesi di “le 10 cose che ho imparato durante il lockdown” “le 5 cose che la pandemia mi ha insegnato” “le 7 cose che porterò sempre con me di questa esperienza“. Anche basta!
La verità che è siamo rinchiusi in casa da otto mesi. Otto mesi di uno smartworking che dall’essere un’agognata possibilità si è presto trasformato in una trappola, otto mesi di no trucco no parrucco, di vestiti bellissimi lasciarti a marcire nell’armadio. Otto mesi di lamentele degli amici che vanno in ufficio e che hanno quattro colleghi come unica altra forma di contatto sociale, mentre tu dentro provi solo invidia, incompresa invidia. Otto mesi di rabbia che dopo l’ultimo “DPCM” cresce insieme alla sensazione di essere sola, con altri pochi sfigati come te, a fare questo sacrificio per il bene di tutti quando questi tutti se ne fregano nella migliore delle ipotesi, e nella peggiore sono in giro a lamentarsi di tutta la gente in giro. Rabbia che cresce ogni volta che pensi a tutti gli sforzi fatti per crearti una vita in una città non tua, ai sacrifici fatti per inseguire un lavoro che ti desse stipendio ma anche un certo “ruolo” sociale, che in tuta e capelli sporchi non si esercita nello stesso modo (avete rotto le palle anche con sta storia di vestirsi e truccarsi per stare in casa! Aveva senso le prime settimane ora basta).
Le serate con le amiche a raccontarsi così tante cose da non riuscire a seguire il filo logico di nessun discorso, la vestizione per andare a lavorare che è anche incontrare sguardi di sconosciti/e e ricevere un complimento, non sempre poi così disinteressato, per il vestito che indossi. La consapevolezza di non essere sempre e solo te stessa ma anche un ruolo che interpreti, inconsciamente, che non è altro da te ma solo una parte di te che si compiace di essere ancora piacente, bella, sexy addirittura! E anche qui nessuna menata del tipo “bisogna essere belli per sé”, agiamo anche per essere apprezzati dagli altri è ora che qualcuno lo ammetta! Il resto è stupido anacronistico avanguardismo da quattro soldi.
Solitudine. Estrema, definitiva, disperata. Questa è l’unica sensazione assoluta. Certezza infinita di giornate senza fine.